lunedì 29 dicembre 2014

Orazio e la fontana

La fontana delle Anfore
in piazza dell'Emporio.
Vivere a Roma significa anche abituarsi alla vista delle rovine dei monumenti, al punto che non cerchiamo neanche più di immaginarli nel loro aspetto originario; opus reticulatum, cementicium, bipedali, mattoni di tufo e blocchi di tufo fanno parte del nostro orizzonte quotidiano, come i nasoni e i tombini col fascio littorio. Discutevo di questo, qualche giorno fa, con il mio amico Bruno, osservando in piazza dell'Emporio i malinconici resti su cui poggiava fino a qualche mese fa la Fontana delle Anfore, opera dell'architetto Pietro Lombardi (1926). La fontana, in travertino, è stata smontata e rimontata, dopo quasi un secolo, nella sua collocazione originaria, in piazza Testaccio, dove verrà inaugurata tra qualche settimana (forse). È impossibile immaginare il rivestimento di un nucleo in cementizio, così come è impossibile immaginare la fisionomia di un essere umano osservando semplicemente le sue ossa, perciò, ecco che si manifesta l'ennesima chiave di lettura della nostra città: Roma è anche una gigantesca necropoli di monumenti, che metaforicamente biancheggiano, proprio come le ossa viste dal poeta Orazio fuori da porta Esquilina, prima della rivoluzione urbanistica augustea.
La struttura in blocchi di tufo che
costituiva il nucleo della fontana.

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