giovedì 26 marzo 2015

L'epigrafe capovolta di vicolo Orbitelli

vicolo Orbitelli (foto M. Gradozzi)
Gli operai che realizzarono l'edificio in vicolo Orbitelli 8 (all'inizio di via Giulia) forse non conoscevano il greco, né il latino, ma sicuramente sapevano lavorare la pietra, perciò, fu un gioco da ragazzi segare un blocco di travertino e inserire le parti ricavate nell'angolo del palazzo. Poco importa se le antiche lettere in caratteri capitali scolpite sulla sua superficie erano sottosopra, l'effetto era comunque notevole. Fu soltanto alla fine dell'Ottocento che qualcuno si accorse della loro esistenza. Nella pubblicazione Notizie degli scavi di antichità (Gatti, giugno 1890) fu affrontata la loro decodificazione, cui contribuì il grande Theodor Mommsen.

(foto M. Gradozzi)
Gli esperti stabilirono che si trattava di un'unica epigrafe, localizzata sul Campidoglio, nei pressi del tempio di Giove Ottimo Massimo, dove era stata collocata subito dopo la prima guerra Mitridatica (88-85 a.C.) per celebrare l'amicizia tra alcuni re asiatici e Roma.

(foto M. Gradozzi)

lunedì 23 marzo 2015

Borromini l'illusionista

piazza Capodiferro (Tempesta 1693)
Al pari di una prescrizione medica, per superare il senso di tristezza e disagio provocato dalla brutta architettura contemporanea capitolina è necessario visitare, almeno una volta al mese, le stupefacenti "invenzioni" di Francesco Borromini (1599-1667), il tormentato architetto ticinese che lasciò a Roma una traccia indelebile. Il suo formidabile talento è paragonabile a quello dell'illusionista, la cui abilità consiste nello spostare l'attenzione del pubblico in un punto prestabilito. Nel 1632 il cardinale Bernardino Spada aveva acquistato dai Capodiferro un bel palazzo, tra via Giulia e piazza Farnese, vicino ai centri di potere dell'epoca. 

La fontana di Borromini a piazza Capodiferro (Specchi 1690)
Nel 1636 il cardinale avviò i lavori di ristrutturazione del palazzo, necessari per consentire la permanenza del nipote Orazio e della sua famiglia, acquistando, per l'occasione, alcuni lotti adiacenti. Alla morte del suo architetto di fiducia il cardinale Spada ingaggiò Francesco Borromini, che si occupò del palazzo e dell'area adiacente nel periodo 1649-1657. Oltre alla progettazione di varie soluzioni interne all'edificio, Borromini decise di modificare virtualmente la realtà esterna intorno al palazzo attraverso varie "illusioni". La prima fu ottenuta dipingendo su una parete di palazzo Ossoli, quella antistante palazzo Spada, una finta facciata composta da blocchi in travertino, perfettamente integrata con la vera facciata del palazzo;  questa magnifica pittura, nascosta per secoli da strati di colla e vernice, è stata restaurata nei primi anni Novanta (Mario Lolli Ghetti). 

L'unica immagine conosciuta della
fontana antica (stampa de Rossi)
Al centro del prospetto dipinto Borromini realizzò una nicchia (vera) in cui collocò una fontana (vera), alimentata da una diramazione dell'Acqua Paola (che giungeva sulla riva sinistra tramite Ponte Sisto). La fontana era così descritta da Fioravante Martinelli (Roma ricercata nel suo sito, 1660): "Nella piazza avanti al detto palazzo (Spada) è stata fatta una vaga fontana dal Cav. Borromino, rappresentando una donna, che premendo le mammelle, manda l'acqua nella conca, che gli soggiace". Purtroppo, ciò che resta della fontana è una bella stampa di fine Seicento, mentre l'Erma attuale è opera dell'artista Giuseppe Ducrot (1996).

L'Erma di Giuseppe Ducrot
(foto Marco Gradozzi)
Terminato il restyling della piazza il Borromini si dedicò alla seconda "illusione", ottenuta ponendo l'ingresso secondario del palazzo (via Giulia) perfettamente in asse con la fontana di piazza Capodiferro.

In basso l'ingresso di Palazzo Spada su via Giulia; in alto
la fontana di piazza Capodiferro (Google Earth)
Il risultato finale è incredibile, infatti, Borromini suggerisce al nostro sguardo un percorso obbligato, grazie al quale osservando la fontana dall'ingresso di via Giulia, questa sembra essere all'interno del palazzo invece che all'esterno.

La fontana vista da via Giulia
(foto Marco Gradozzi)

sabato 14 marzo 2015

Le vacanze estive di papa Gregorio

Gregorio XIII
Molti storici moderni attribuiscono la realizzazione dell'Acqua Felice a Sisto V (Felice Peretti, 1585-1590), tuttavia, il progetto era già stato studiato e preparato da Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni, 1572-1585), come riportano gli atti della Congregatio cardinalitia del 26 maggio 1583. Il conflitto tra Goti e Bizantini (535-553) aveva pesantemente penalizzato gli abitanti di Roma. La maggior parte degli acquedotti era stata messa fuori uso, provocando l'abbandono dei famosi sette colli e il conseguente popolamento dell'area del Campo Marzio, in prossimità del fiume. Dopo mille anni passati a bere acqua di fiume e di pozzo i romani tornarono a dissetarsi con acqua di sorgente grazie all'acquedotto Vergine, finalmente restaurato e riallacciato alle antiche sorgenti (1570). Ben presto ci si rese conto che la domanda era maggiore dell'offerta, perciò si cominciò a studiare la soluzione del problema. 

Fabretti 1680
I tecnici di papa Gregorio XIII decisero di aumentare l'offerta idrica utilizzando le sorgenti dell'antico acquedotto Alessandrino (in località Pantano dei Grifi), realizzato all'epoca dell'imperatore Alessandro Severo (222-235) per alimentare le vecchie terme neroniane del Campo Marzio. Nel progetto di Gregorio XIII il castellum terminale del nuovo acquedotto avrebbe dovuto essere collocato nella zona di Termini, da dove sarebbero partiti i condotti per alimentare i quartieri Quirinale, Monti, Celio, Campo Vaccino e Campidoglio. Erano già state studiate le quote del terreno in prossimità della basilica di S. Maria degli Angeli, dove l'acqua sarebbe dovuta arrivare su archi alti poco più di 3 metri. Subito dopo la riunione del 1583 la Camera Apostolica informò il Comune di Roma che per lo sviluppo del progetto sarebbe stato necessario l'acquisto di 100 once d'acqua (al prezzo di 500 scudi l'oncia, cioè 50.000 scudi) e la costruzione, a proprie spese, di un determinato numero di fontane. 

Etienne Duperac 1577
Fu soltanto il desiderio di fornire acqua ai romani che spinse Gregorio XIII a portare avanti il suo progetto? Per quale motivo il papa aveva scelto la zona di Termini come punto d'arrivo del suo acquedotto? Era abitudine dei pontefici trascorrere il periodo estivo in un luogo diverso dai palazzi vaticani, come aveva fatto ad esempio Paolo III, trasferendosi a palazzo S. Marco (palazzo Venezia). Anche Gregorio XIII passò qualche estate a palazzo S. Marco, finché non scoprì la villa del cardinale Oliviero Carafa, sul Quirinale; questa doveva essere veramente particolare perché la Camera Apostolica la acquistò nel maggio 1583. Secondo lo scrittore Girolamo Ferrucci (Antichità di Roma, 1588) la nuova residenza sul Quirinale era apprezzata per "l'aria e l'amenità del luogo", infatti, doveva servire a "schivare gli estivi caldi del Vaticano". Gregorio XIII non riuscì a vedere il suo progetto compiuto perché morì il 10 aprile del 1585, mentre la villa del cardinale Carafa, oggetto di numerose trasformazioni, è divenuta l'attuale Palazzo del Quirinale.