lunedì 20 aprile 2015

La lupa, il leone e il drago ... quando le fontane parlavano

Palazzo Capilupi
(foto Marco Gradozzi)
È noto a tutti come le fontane di Roma abbiano una vita propria, perciò non solo camminano, ma parlano, soprattutto tra loro. Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento ebbe luogo a Roma una vera e propria rivoluzione culturale, grazie alla conduzione della rinnovata Acqua Vergine (agosto 1570), dell'Acqua Felice (1587) e dell'Acqua Paola (1612); finalmente, dopo molti secoli, i romani non erano più obbligati a bere l'acqua del Tevere. Com'è facile immaginare, il Comune e la Camera Apostolica ricevettero moltissime richieste di allaccio alle condutture dei nuovi acquedotti. Fu in questo contesto che nacquero le prime fontanelle semipubbliche. I privati che ottenevano l'acqua avevano l'obbligo di  realizzare la fonte a proprie spese, inoltre, dovevano mantenerla efficiente; osservando questa disposizione, il privato poteva utilizzare l'acqua di ritorno che, anziché defluire nelle fognature, era condotta nella sua proprietà. 

L'iscrizione della fontana della Lupa
(foto Marco Gradozzi)
Nel 1578 l'ecclesiastico mantovano Camillo Capilupi, proprietario di un palazzo in via dei Prefetti (civico 17), chiese al Comune la concessione di un certo quantitativo d'acqua che doveva alimentare "una fontana pubblica da esso e dai suoi fratelli edificata nel detto rione". Come stabilito, Capilupi collocò la fontanella in strada, all'angolo del proprio palazzo. Per la decorazione della fonte (ormai scomparsa) Capilupi si ispirò al proprio cognome, come ci fa sapere un Anonimo (1588), che la descrive come una "una fontana grottesca con mezza statua di lupo, la cui bocca dà l'acqua in un piccolo vasetto o conca, dietro la quale grottesca è essa lupa". Al di sopra della fontana Capilupi fece collocare un'iscrizione (tuttora visibile nell'androne del palazzo) da lui creata: "Come il dolce latte dette (la lupa) non feroce ai gemelli, così questo lupo mite ti offre, o vicino, quest'acqua che scorre continua, più dolce anche del latte, più pura dell'elettro, più fredda della neve. Pertanto di qui, il ragazzo, il giovane, il vecchio portino assidui a casa le linfe con una brocca ben tersa. Ma questa fontanina è proibita ai cavalli ed agli asinelli, e nemmeno vengano a bere con la bocca indecente né il cane, né il capro. 1578". 

L'iscrizione della fontana del Leone
(foto Marco Gradozzi)
Un anno dopo la realizzazione della fontana di via dei Prefetti (le fontane hanno i loro tempi) comparve la risposta ai versi del Capilupi. Un privato costruì la sua fontanella semipubblica a ridosso di un edificio situato in fondo a via di Panico, quasi all'angolo con piazza di Ponte (nell'Ottocento l'archeologo Carlo Fea la ricorda vicino al civico 62). Questa, che aveva l'aspetto di "un leoncino tra sassi, a guisa di quella di Capilupo in Campomarzo" (Anonimo del 1588), era accompagnata dall'ormai consueta epigrafe poetica: "Come il lupo nel Campomarzio, più mansueto di un agnello, dalla bocca distribuisce al popolo l'acque vergini, così pure qui un leone più mite di un capretto dalla bocca spande l'onda illustre cui presiede la Vergine. Non c'è da meravigliarsi, un Drago che pio comanda su tutta la terra, col suo esempio rende tranquilli l'uno e l'altro. 1579". 

La fontana del Leone
(foto Marco Gradozzi)
Il Drago che sapeva calmare sia il lupo che il leone era Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585), il papa che diffuse l'istituzione delle fontanelle semipubbliche. L'autore dell'iscrizione citò l'animale (rappresentato nello stemma della famiglia Boncompagni) per farci sapere chi era papa al momento della costruzione della fontana. Nel 1930, in seguito alla scomparsa dell'isolato tra via di Panico e via Tor di Nona, la fontanella del leone e la sua epigrafe furono spostate sulla facciata esterna del convento di S. Salvatore in Lauro, costantemente nascoste da automobili e motorini ... ma questa è un'altra storia.

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